IL PERIODO DI PROVA


In molte occasioni l’assunzione di un dipendente avviene mediante un contratto di lavoro nel quale viene espressamente previsto il “periodo di prova”, ma quali strumenti esistono a tutela del lavoratore in tale fase?

Ebbene: il periodo di prova trova la sua disciplina nell’2096 del codice civile dove si afferma che il contratto di lavoro può prevedere un periodo di prova durante il quale ciascuna delle parti può recedere senza obbligo di preavviso ed al termine del quale periodo l’assunzione diviene definitiva.

La funzione di tale patto è quella di permettere al datore di lavoro di valutare le qualità professionali, il comportamento e la personalità del prestatore di lavoro, prima che il contratto divenga definitivo.

La Corte di Cassazione ha affermato che è illegittimo il patto di prova se in realtà un rapporto di lavoro già esisteva prima dell’inizio del patto stesso, avendo “in precedenza il lavoratore prestato per un congruo lasso di tempo la propria opera per il datore di lavoro” (Cass. Nr. 22637 dd. 02.12.04)

Ciò significa che tale periodo di prova deve sempre rappresentare la prima fase lavorativa intercorrente tra lavoratore e datore di lavoro, indipendentemente dalla sua definizione formale.

Il periodo di prova deve essere previsto per iscritto, a pena di nullità, e la sua durata massima non può essere indicata liberamente dal datore di lavoro, ma viene stabilita dai contratti collettivi.

In ogni caso, ai sensi dell’art.10, legge 15.07.66 nr. 604, il limite massimo di durata del periodo di prova è di sei mesi, decorsi i quali il rapporto di lavoro diventerà definitivo.

Durante il periodo di prova il datore di lavoro (e, ovviamente, il lavoratore) può recedere liberamente dal rapporto senza obbligo di preavviso alcuno.

Tuttavia il lavoratore può contestare innanzi al Giudice la legittimità del recesso effettuato dal datore di lavoro durante il periodo di prova.

In tal caso il lavoratore deve provare che il recesso è stato determinato da un motivo illecito (licenziamento discriminatorio o intimato per un motivo illecito) o che il rapporto in prova non si sia svolto con tempi e modalità inadeguate a stabilire le qualità del lavoratore.